sabato 6 gennaio 2018

ROBERTO CERE' - STORIE IMPOSSIBILI - Temple Grandin

“È importante individuare e sviluppare i punti di forza delle persone, i loro talenti, interessi, speranze, evitando di concentrarsi sui deficit, su ciò che non funziona.”

Temple Grandin


“Il più delle volte mi sento come un antropologo su Marte”. È così che Temple ha spiegato la sensazione che prova quando si trova tra noi, i “normali”. Lo ha raccontato a Oliver Sacks, il compianto neurologo britannico interpretato sul grande schermo da Robin Williams in Risvegli. L’uomo di scienza, che con i suoi libri ha segnato la letteratura e la psichiatria del Novecento, si innamorò a tal punto della storia di Temple che quella frase ispirò il titolo di una sua opera, Un antropologo su Marte.



Oggi Temple Grandin ha quasi settant’anni e insegna alla Colorado State University; è autrice di diversi best seller ed è una dei massimi esperti in materia di comportamento animale nell’industria alimentare. Nel 2010, la rivista Time l’ha inserita nella lista delle 100 persone più influenti al mondo. Ha una vita di successo, ma non è sempre stato così facile. Anche perché, per una come lei, non ci sono mai state scorciatoie.

Fin da quando era piccola, Temple ha guardato alle cose con un occhio particolare. La curiosità e l’intensità con cui viveva anche le più piccole esperienze potevano ridurla a uno straccio. Temple era una bambina difficile.Quando sua madre la teneva in braccio, lei si irrigidiva e la graffiava cercando di divincolarsi. Le prime parole arrivarono tardi, a tre anni e mezzo. Parlava poco e, quando lo faceva, urlava in continuazione. In mezzo alla gente, Temple non trovava pace, ma nel ranch di sua zia in Arizona trovò qualcun altro con cui relazionarsi: le mucche. Cominciò a passare le ore sdraiata tra questi animali. Le accarezzava, ne percepiva gli umori, ne capiva le paure.

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Negli anni Cinquanta, i disturbi neuropsichiatrici erano affrontati piuttosto sbrigativamente rispetto ai nostri standard. Venivano molto spesso imputati a generiche lesioni cerebrali e si ignorava quasi del tutto cosa fosse un percorso di terapia o di riabilitazione. Temple lo scoprì suo malgrado quando nel 1951, a soli quattro anni, le venne diagnosticata una grave forma di autismo e l’assegnarono a una scuola per l’infanzia adatta alle sue esigenze.In quell’istituto gli sforzi degli insegnanti, per quanto apprezzabili, si concentravano esclusivamente su linguaggio, trattamenti logopedici ed esercizi per la voce, in modo da permettere ai bambini in cura di poter accedere a un regolare corso di studi.
Nessuno aveva ancora letto a fondo nelle emozioni di Temple, nel suo escludersi e nel modo in cui si sentiva aggredita dalla realtà, dal suo esorbitante flusso di informazioni.Guarda il mondo senza dare la precedenza a dettagli privilegiati, a quei punti focali che la distoglierebbero dall’immagine globale. Nei suoi occhi esiste solo la complessità del tutto, la relazione tra le sue parti. E più Temple osserva l’interazione tra le cose, più chiare diventano le ragioni per cui gli eventi prendono la loro piega.Questo spirito analitico aiutò la ragazza negli studi, nonostante l’autismo influisse pesantemente sulla sua formazione emotiva.
Temple studiava con passione, ma andare a scuola era uno strazio. Non era certo la ragazza più popolare della scuola e i suoi compagni la deridevano in continuazione. “S’è inceppato il mangianastri!”, le dicevano, mentre lei combatteva contro i nervi sforzandosi di parlare, balbettando e ripetendo ossessivamente una stessa parola. Le crisi si manifestavano spesso: un violento senso di sopraffazione che le provocava attacchi di angoscia e un pianto inconsolabile. Attraversò l’adolescenza in questo stato di sospensione continua, contando le ore che la separavano da un altro brutto momento. Fino a quando un pomeriggio, aveva 18 anni, non notò qualcosa al ranch.
Una mucca non stava molto bene già da qualche giorno e lo zio aveva chiamato il veterinario per darle un’occhiata. Quando il dottore scese dalla vettura, l’animale cominciò a scalciare per il nervosismo e lo zio accompagnò la bestia alla gabbia di contenimento. Era una specie di mollettone che, richiudendosi a libro sulla mucca, la immobilizzava senza un uso eccessivo di forza, permettendo al veterinario di visitarla. Temple notò che, non appena la gabbia si era chiusa attorno al corpo dell’animale, fermandole il collo e i fianchi, la mucca si era rasserenata di colpo. Un attimo dopo era in camera a progettarne una per sé.
La battezzò “macchina degli abbracci”, una versione più umana, imbottita come si conviene, del magico marchingegno che aveva visto in azione sulla sua amica mucca. Quando sentiva che qualcosa non andava, che un’onda si stava per schiantare contro la sua fragile psiche, Temple si infilava nella sua macchina e si abbandonava alla morsa liberatrice di quell’abbraccio. I bovini continuavano a sorprenderla. C’era sempre qualcosa nel loro comportamento che li rendeva interessanti ai suoi occhi. Non a caso si laurea in Psicologia ma in seguito si specializza nello studio del comportamento, un campo d’indagine che le consente di mettere a frutto la sua lunga esperienza nel ranch degli zii. Nelle loro mucche, infatti, Temple ritrova una caratteristica fondamentale del suo autismo: la capacità di vedere le cose per come sono. “Gli animali, come noi autistici, colgono i dettagli di cui è fatto il mondo, mentre le persone normali scambiano quegli stessi dettagli per il quadro complessivo”.
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Temple è sempre stata ipersensibile ai rumori e a tutto quello che le sembra disarmonico; il disordine di una stanza o l’insensatezza di una situazione la mandano in crisi. Per questo, da subito si concentrò sulle routine che gli animali mettevano in atto per affrontare, soprattutto se in branco, le tappe della vita quotidiana. Notò che, quando potevano muoversi più liberamente, le mucche preferivano avanzare facendo curve continue. “Dà loro l’impressione di tornare sempre allo stesso punto e ciò le tranquillizza”, osservò Temple, comprendendo che quel piccolo dettaglio avrebbe potuto migliorare, se non la vita, almeno i pochi minuti che precedevano la morte di quegli animali destinati al macello.
Applicando le proprie competenze teoriche al mondo della progettazione, Temple cominciò a ideare e disegnare un’infinità di migliorie per rendere meno crudele il trattamento degli animali negli impianti di macellazione, tra cui un corridoio d’ingresso composto di curve sinuose, che simulano la camminata ondivaga dei bovini e li rasserenano nei loro ultimi momenti.

Ancora oggi, sperimenta su di sé ogni progetto perché vuole conoscere quale sensazione proverà l’animale che dovrà interagire con un determinato macchinario. Si sofferma su dettagli infinitesimali, sfrutta la sua portentosa memoria visiva come fosse il più affidabile quaderno d’appunti al mondo e nella sua mente elabora l’esito delle diverse soluzioni.
Grazie a questa dedizione e alla sua voglia di sottrarsi alla pena di chi la compativa, una ragazzina con grandi problemi emotivi si è trasformata in un punto di riferimento per l’ingegneria e per lo studio del comportamento animale. La sua particolare condizione le ha permesso di ideare alcuni tra gli impianti più importanti al mondo, riducendo al minimo indispensabile le violenze cui sono sottoposti gli animali. In questo modo, forse, ha pagato il suo debito di riconoscenza nei loro confronti. Perché, osservando i loro bisogni, ha inquadrato il proprio problema e ha trovato il modo per conviverci traendone energia.
L’autismo non le ha impedito di crescere come persona e nel lavoro. Anzi, il suo essere speciale le ha permesso di portare la propria esperienza a milioni di persone, attraverso importanti programmi televisivi e prestigiose testate come Forbes e il New York Times. Ma Temple ci tiene a ricordare una cosa. Lei non è soltanto una donna affetta da un disturbo neuropsichiatrico. Lei è una persona completa, piena di risorse e di voglia di condividerle. “L’autismo è soltanto una parte di me stessa, una parte con lati positivi, negativi e peculiarità, ma soltanto una parte”.
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Fin da quando era piccola, Temple Grandin ha vissuto con difficoltà il rapporto con gli altri. Si è sempre sentita più a proprio agio tra gli animali che con le persone. Si ritrova nella loro semplicità, perché il suo autismo le rende difficile mostrare empatia davanti a sentimenti più sfumati. “Le mie emozioni non sono complesse, non riuscirò mai a capire come si possa provare gelosia e amare qualcuno allo stesso tempo”.
La piccola Temple non avrebbe mai immaginato, un giorno, di vivere tra gli altri, ottenere la loro attenzione e diventare una fonte di ispirazione. Di certo non pensava che avrebbe parlato a una vasta platea.
Nel corso degli anni, invece, ha divorato il palco con discorsi illuminanti e vivaci e le sue idee hanno conquistato un pubblico enorme e il plauso degli esperti di tutto il mondo.
Credeva di essere condannata a una vita da straniera in terra straniera, un’esistenza da aliena tra i terrestri e invece, grazie alla prodigiosa forza della sua mente, nonostante le mille difficoltà, Temple Grandin ha trovato il suo posto nel mondo."

 Ringrazio l'autore Roberto Cerè di Storie Impossibili e l'editore Mind Edizioni, per aver concesso la pubblicazione di questo estratto. Se vuoi puoi acquistare il libro da questo link:

Le immagini sono prese da Google Immagini e sono senza copyright.

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